“Quelli che non cambiano mai idea non cambiano mai niente.” (Winston Churchill)
Fare un’analisi critica dei risultati del job act, a 11 anni dalla sua introduzione, non è un segno di schizofrenia ma di intelligenza. Chi crede di tutelare una coerenza mal riposta si rifiuta di guardare la realtà, che evidenzia l’istituzionalizzazione della precarietà del lavoro con tutte le conseguenze che ne derivano. E che spiego.
Questi sono i conteggi degli avviamenti al lavoro nel 2024 pubblicati da Sviluppo Lavoro Italia Spa, la Società che ha preso il posto di Anpal Spa e che è l'emanazione del Ministero del Tesoro che organizza e coordina i Centri per l'Impiego a livello nazionale e ne raccoglie i dati.
Gli avviamenti al lavoro nel 2024 sono più di 10 milioni e hanno riguardato “solo” 6,5 milioni di lavoratori. Soltanto il 10% delle nuove assunzioni è fatto con contratti a tempo indeterminato. Il resto è lavoro precario.
Da questi dati si capisce perché i giovani capaci scappano all'estero, e quelli che non riescono vivono nell’incertezza, alimentando la crisi demografica e quella dei consumi. Niente mutuo, niente casa, niente famiglia, niente figli. Con buona pace dei “nazionalisti de’ noantri”.
Il dogma della produttività e della competitività delle imprese è praticamente interamente riversato sul costo del lavoro e sui contribuenti che versano davvero le tasse, chiamati al pagamento delle Naspi, degli sgravi contributivi al datore di lavoro per le riassunzioni, ai processi formativi del tutto inutili che coinvolgono il lavoratore licenziato, attraverso il sistema delle agenzie per il lavoro e delle società di formazione del personale non qualificato.
La realtà è che, a parte le eccezioni, le imprese, piccole o grandi che siano, sfruttano il sistema per abbattere il costo del lavoro e scaricarlo sulla spesa pubblica, cioè sui lavoratori dipendenti ed i pensionati.
I maggiori profitti realizzati servono, a seconda delle dimensioni dell'azienda, per cambiare il SUV, oppure pagare stipendi milionari ai CEO, o ancora distribuire maggiori dividendi agli azionisti.
I lavoratori dipendenti e i pensionati dovrebbero recarsi in massa a votare SI, per togliersi dalle spalle questo peso insopportabile che le imprese gli hanno scaricato addosso, sfruttando gli errori e la miopia di una legislazione all’inseguimento di un falso liberismo che diventa sfruttamento.
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Giorgio Alessandrini, 16 maggio 2025