venerdì 29 marzo 2024

La tassa di successione di Letta

La tassa di successione di Letta

Direi che sulla comunicazione abbiamo ampi margini di miglioramento. Appena si era insediato, avevo scritto al nuovo segretario Letta sostenendo la necessità di una riforma fiscale e ricordando, tra le altre proposte, che l’economista Einaudi sosteneva che il patrimonio ereditato dovesse ritornare alla comunità nell’arco di tre generazioni. (Suggerimenti per Enrico Letta)

Sicuramente Letta, o chi per lui, non avrà neanche dato un’occhiata alla mia mail. Ma il caso vuole che la prima proposta in tema fiscale sia proprio una tassa di successione che, nonostante lo scopo nobile e la definizione di un target impositivo limitato e ben delineato, sembra fatta apposta per farsi martellare sulle dita, come infatti è avvenuto.

Sembra una banalità, ma occorre dirlo: se il Partito Democratico si è finalmente convinto della necessità di una riforma fiscale, il primo errore da evitare è quello di presentarla in pillole, perché ogni singola proposta, scorporata dalla visione generale, verrebbe facilmente impallinata da avversari politici e singole categorie colpite, producendo uno stillicidio di critiche che renderebbe inattuabile la riforma nel suo complesso.

Lo scopo della riforma fiscale non è quello di reperire risorse per singoli interventi, temporanei o duraturi che siano. Ciò che bisogna prefiggersi e, soprattutto, illustrare con chiarezza Ã¨ la drastica riduzione del reddito imponibile per i ceti medio-bassi e medio-alti, cioè la stragrande maggioranza dei ceti produttivi del paese.

Tale obbiettivo è nello stesso tempo fiscale e monetario, oltre a rispondere ad evidenti criteri di equità in un mondo che negli ultimi decenni ha registrato il continuo allargarsi le disuguaglianze e della distanza tra i pochissimi sempre più ricchi e le masse sempre più in difficoltà.

È fiscale perché sposta il peso del sistema tributario dall’imposizione sul reddito a quella sul consumo. Ridefinisce aliquote progressive che favoriscano i ceti più deboli a leggero svantaggio dei più ricchi, che saranno certamente penalizzati, ma non abbastanza da non rendere sempre stimolante e conveniente il raggiungimento di più elevati livelli di reddito e benessere. Infine, porta finalmente ad una drastica riduzione dell’evasione e dell’elusione, redistribuendo il carico del gettito Irpef, che oggi grava per l’85% sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati.

È monetario perché la riduzione del reddito imponibile, attraverso la detraibilità delle spese elettroniche, aumenta la liquidità disponibile nei ceti con più alta propensione al consumo, stimola la domanda di beni incrementando il gettito Iva, scoraggia la diffusione del lavoro nero (se posso scaricare tutto lo stipendio della colf, la metto in regola) favorendo garanzie e contribuzione dei lavoratori precari, diminuisce gli abusi sul reddito di cittadinanza e quindi il fabbisogno di copertura economica.

Naturalmente, prima di presentare una proposta di riforma fiscale, bisogna fare i conti. Si tratta di effettuare proiezioni di quanta parte di gettito fiscale si ritiene che verrà a mancare in conseguenza della riduzione dei redditi imponibili, e quantificare le entrate alternative derivanti dalle conseguenze di tale riduzione: recupero da evasione ed elusione, maggior gettito iva, maggiori entrate da aumento aliquote sui redditi altissimi, nuove tasse di successione sui grandi patrimoni.

Per me, una riforma fiscale la si presenta così. A prova del livello mentale di Salvini.

_____________________________________

Giorgio Alessandrini, 21 maggio 2021


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Giorgio Alessandrini

Analista dati delle politiche per il lavoro per la Regione Emilia-Romagna. Ex funzionario amministrativo di INA-Assitalia, poi Generali. Appassionato delle vette e del mare; di emozioni; della vita. E di politica come strumento di risoluzione dei problemi reali.

© Giorgio Alessandrini 2017
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